lunedì 17 febbraio 2014

Parco delle Marmitte dei Giganti, Chiavenna (SO)

25/01/2014


Dopo un lungo periodo di assenza causa esami e concorsi vari, gli escursionisti senza confini, sprezzanti del pericolo valanghe e annegamenti causato dalle notevoli piogge di questo atipico inverno, vi propongono un sentiero più o meno ad anello, molto semplice, ma altrettanto suggestivo, e che si presta ad essere percorso praticamente in ogni stagione. Stiamo parlando del sentiero che si apre all’interno del Parco delle Marmitte dei Giganti di Chiavenna. Giusto per capirci, le Marmitte dei Giganti sono dei fenomeni glaciali; dato che nessuno di noi è geologo o simili, ci permettiamo di definirle grosse pozzanghere e ci scordiamo volutamente di segnalarvele. Non ce ne vogliate.
Ad ogni modo: il 25 gennaio si decide di partire due giorni per tentare di contrastare gli ormai impellenti esaurimenti nervosi, e come meta si sceglie Chiavenna, cittadina in Val Chiavenna appunto. Si parte in treno (da Milano è abbastanza agevole, un solo cambio a Colico), e una volta scesi in stazione si va alla scoperta della città, che offre scorci molto belli soprattutto dai piccoli ponti del centro storico. Dopo una cena annaffiata da buon vino chiavennese e una dormita rigenerante, il 26 nel primo pomeriggio si parte per la camminata, non dopo essere passati al supermercato davanti alla stazione (aperto anche la domenica mattina) per procacciarsi la merenda.
Parcheggio
Come detto sopra, noi si è arrivati in treno, ma dato che teniamo ad avere più informazioni possibile, abbiamo controllato: intorno alla stazione ci sono non pochi parcheggi, alcuni a pagamento, altri no. Ad ogni modo, finché state in zona stazione o cimitero siete comunque vicini all’imbocco del sentiero.
Sentiero
Mettetevi subito il cuore in pace: farete molte scale. Ma vedete gli aspetti positivi: è attività cardio in mezzo alla natura, ci saranno tratti in cui vi sembrerà di essere nel medioevo e le vostre chiappe si rassoderanno e/o modelleranno, a tutto vantaggio della vostra vita sentimentale. Bando alle ciance: una volta a Chiavenna, seguite per il cimitero e percorrete il viale che vi porta all’entrata di questo. No, non vi stiamo proponendo nulla di macabro: una volta davanti all’entrata, vedrete a destra una stradina che costeggia da un lato il perimetro del cimitero e dall’altro il campo sportivo. Prendetela e aggirate il fin troppo nominato cimitero, finché la stradina non si allarga. A quel punto, sulla sinistra c’è una scala in asfalto, cemento e poi legno. Prendetela e iniziate a salire i gradini, superando anche l’area di sosta che troverete dopo un po’. Sulla sinistra avrete sempre un piccolo ruscello; a gennaio non è il caso di lavarcisi le mani, pena i geloni, ma d’estate dovrebbe essere refrigerante. Non molto dopo l’area di sosta di cui sopra (un tavolo con panche) troverete i primi cartelli che segnalano il sentiero, e – a nostro parere – le peggiori mappe mai concepite dall’uomo. Se volete, potete prendere la scala che sale alla vostra sinistra, la quale porta fino a una roccia che domina Chiavenna; si tratta di circa mezzoretta di salita, a prenderla comoda. Non è niente di troppo entusiasmante, ma sappiate che c’è questa possibilità. Quando ridiscendete e tornate al punto di prima, o se decidete di non salire proprio, prendete per “Marmitte dei Giganti – Fenomeni glaciali”, teoricamente segnato in bianco-rosso (praticamente vi sfidiamo a trovare i pochi e malmessi segni) e continuate a camminare, o meglio a salire i gradini del sentiero, che ora è costeggiato da pietre e fa molto medioevo. Quando iniziate a pensare che i gradini non finiranno mai, incontrate l’area di sosta “Prato Grande”, che a nostro parere dev’essere un gran posto per farci il barbecue nella bella stagione. Se avete bisogno, fermatevi, e guardate davanti a voi: l’enorme masso rossiccio che domina il prato è il “Sasso Dragone” sul quale si possono vedere i primi fenomeni glaciali. Riprendete fiato mentre vi proponiamo di proseguire costeggiando il sentiero (che continua a destra del “Sasso Dragone”), quindi di non fare i gradini ma di camminare sulla nuda terra che sta alla sinistra di questi. Magari buttatevi alla scoperta delle piccole grotte e costruzioni sul fianco del “Sasso”, alcune sono molto particolari e hanno quel fascino da “Game of thrones” – almeno secondo uno degli escursionisti senza confini, che ormai è nel trip della saga di Martin e non fa che parlarne. Potete sempre rimettervi sul sentiero, scavalcando il piccolo muretto di pietra che lo delimita.  Abbiate pazienza, dopo questa salita si arriva sopra il “Sasso Dragone”, e il paesaggio inizia a diventare notevole e appagante: guardatevi intorno a 360 gradi! In gennaio, se la giornata è soleggiata e precedentemente ha nevicato, vedrete le vette circostanti innevate; uno spettacolo non da poco. Certo, dovete avere culo, cosa che noi di solito non abbiamo, ma a ‘sto giro ci è andata bene. Quando decidete di averne abbastanza della bellezza che vi circonda, riprendete il sentiero, seguendo la palina con la solita denominazione “Fenomeni glaciali”, prendendo verso sinistra. Salite ancora di qualche decina di metri, sovrastando così il “Sasso Dragone”; continuate a guardarvi intorno, ma soprattutto alzate lo sguardo e godetevi le montagne che vi circondano. Il sentiero inizierà a scendere, curvando a sinistra, ma prima di seguirlo vi consigliamo una piccola deviazione: andate dritti, salendo sulle rocce, per arrivare ad un piccolo promontorio, sulla cui punta c’è un ammasso di pietre del quale non abbiamo ben capito la funzione, ma tant’è, è particolare. Fermatevi e voltate le spalle a questo piccolo mucchio: sulla vostra sinistra si intravedono, tra i rami, le cascate di Acquafraggia, e se il vento ha la direzione giusta ne sentite anche il rumore. Vi avvisiamo che dalla base di queste cascate, del comune di Piuro, partono dei sentieri, che non abbiamo potuto fare ma pare siano molto suggestivi, dato che passano per tre borghi abbandonati. La logica ci dice che sarebbe meglio avventurarsi in queste camminate in primavera-estate, dato che di fianco alle cascate c’è più probabilità che il sentiero ghiacci, ma se siete esperti escursionisti vedete voi. Tornando invece al nostro sentiero nel parco delle Marmitte dei Giganti, quando vi stancate di stare sul promontorio a guardarvi attorno e, nel caso seguiate in toto i nostri passi, a rifocillarvi, riprendete il sentiero che scende. Ci sono i soliti, ormai ben conosciuti, gradini, quindi anche se i segni bianco-rossi ci sono una volta sì e dieci no non rischiate di perdervi; l’unico grosso pericolo, se decidete di avventurarvi in fuori sentieri, sono i rovi e le pietre un po’ scivolose. Circa a metà della discesa c’è un piccolo boschetto, con una panchina, che si sporge sul lato sinistro del “Prato Grande” che avete trovato salendo. Anche da qui la vista è niente male. Ripreso il sentiero, non molti minuti dopo si trova un’altra piccola area di sosta, stavolta un piccolo prato. Dubitiamo che avrete di nuovo bisogno di fermarvi, ad ogni modo quando deciderete di tornare a scendere, sappiate che manca poco per arrivare alla fine: dopo aver costeggiato un ampio prato e scesi gli ultimi gradini, vi ritroverete su una stradina di Chiavenna. Nel caso abbiate un pessimo senso dell’orientamento, e ci auguriamo non sia così (volete morire sui monti?), vi informiamo che quando ve la trovate davanti dovete seguirla verso sinistra per tornare in città; sbucherete esattamente sul lato del cimitero opposto a quello dal quale siete partiti.
Tempistica

Ce la siamo presa con mooolta calma, un po’ perché il raffreddore ci spaccava il fiato, un po’ perché avevamo tempo e un po’ perché non avevamo voglia di sbatterci (sì, stiamo cercando giustificazioni al nostro essere mezze-seghe senza fisico); tenendo conto di questa premessa, ci abbiamo messo due ore e mezza circa, pause e ritorno compresi. Sapendo che il sentiero non è nulla di impegnativo, se siete in forma potreste farlo anche in un’ora, un’ora e mezza, ma sappiate che non vi godreste appieno il paesaggio. Qualcuno sostiene che sia un percorso anche per bambini; secondo noi è vero solo se per “bambini” si intendono esseri umani dai 6-7 anni in su. Certo è che è davvero uno dei più semplici.

Foto

Prato Grande

Prato Grande - Sasso Dragone

Vista da Sasso Dragone

Paline su Sasso Dragone

Altra vista da Sasso Dragone

Paesaggio (foto artistica, o "foto design")

Lo strano cumulo di pietre

Vista dal promontorio con lo strano cumulo

Bosco e paesaggio della discesa

Sentiero della discesa

Altro paesaggio dalla discesa

Marmitta dei Giganti (una ve la mettiamo dai, anche se è una pozzanghera)

Boschetto della discesa

Piccolo promontorio con panchina

Tratto del ritorno

sabato 31 agosto 2013

Impressioni dalla Val Codera

Maggio 2013

In attesa che gli impegni che attanagliano le vite di noi poveri escursionisti senza confini ci permettano di tornare sui sentieri di montagna, vi proponiamo un’escursione fatta alcuni mesi fa, quando gli escursionisti senza confini non c’erano ancora formalmente, ma lo spirito già era in loro. Nel maggio 2013 uno dei futuri escursionisti senza confini - da poco laureato e al momento disoccupato, in attesa di un dottorato che è tipo Atlantide (cioè non si sa se c’è o non c’è ma più probabilmente non c’è), anche grazie alle fantastiche politiche di distruzione dell’istruzione attuate dai vari italici governi da vent’anni a questa parte - insieme a un suo amico decisero di impegnare per una volta il tempo in modo produttivo partecipando a un campo di lavoro in Val Codera (SO) per la riqualificazione della Valle. Detta in parole povere: dissodare terreni, sgranare mais e poco altro. Insomma, dopo tanta intellettualità (se non intellettualismo) dettata dalla formazione umanistica universitaria palesemente contro l’esperienza reale del mondo, i due decisero, in un momento di primitivismo acuto e di apparente masochismo, di scoprire come si maneggia una vanga e di tentare di farsi venire i calli sulle mani. Tuttavia, i due non se ne ebbero a pentire. Lo spirito di Simone Pianetti e Zerzan calò su di loro, e così partirono.
Due parole sulla Val Codera: questa valle può essere raggiunta solo in elicottero o a piedi, attraverso un paio di sentieri, uno dei quali verrà descritto in queste righe. Si tratta di una valle molto bella, incassata tra le montagne in provincia di Sondrio, dove c’è un’associazione che si sbatte per tenerla in vita: l’Associazione degli amici della Val Codera. Alcuni di quest’ultimi organizzano periodicamente dei campi di lavoro - così li chiamo io - ossia, detto in parole povere: uno si tira insieme, muove il culo, va su, raggiunge il rifugio “La Locanda” e, in cambio di vitto e alloggio, fa i lavori che servono, come dissodare i piccoli campi presenti nel paesino o nei suoi pressi, sgranare il mais, piantare verdure varie e cose così. Ma andiamo con calma e ordine - un passo dopo l’altro, con passo pesante.
Parcheggio
Come si diceva prima, la Val Codera si raggiunge soltanto a piedi, poche palle. Il paese dal quale è possibile prendere il sentiero è Novate Mezzola (1.200 abitanti circa), in provincia di Sondrio. Noi siamo giunti in loco in treno, preso da Milano Centrale (usare il treno in questo caso è tutto sommato abbastanza comodo, ma non pensate di poter tornare indietro in giornata, illusi!). Arrivati in stazione, scendiamo dalla carrozza senza farci male e giriamo a sinistra sullo stradone, verso il “centro” del paese. Da un lato abbiamo il lago di Mezzola, che ha un suo perché, mentre dall’altro le montagne. Arrivati alla prima strada di una certa dimensione che punta verso le montagne, troviamo un supermercato. Là ci prendiamo un ottimo paninazzo con salumi vari per affrontare con destrezza e soprattutto leggerezza la salita, non senza aver fatto due chiacchiere con un’amichevole autoctona sotto forma di una cassiera. Usciti, continuiamo sulla strada asfaltata, che prende l’epico nome di Via Ligoncio (all’inizio della suddetta via, a destra vi trovare il supermercato di cui si è parlato prima, mentre a sinistra c’è una farmacia, alle spalle avete la stazione e il lago, davanti le montagne; la Val Codera è lì incastrata da qualche parte - insomma, a prova di bollitura!). Seguiamo la strada asfaltata che sale costantemente ma l’inclinazione è tutt’altro che impegnativa, solo è un po’ lunga. Via Ligoncio diventa, dopo una decina di minuti e un incrocio, via del Castello, dove vedrete un cartello, il quale vi indica che dritto davanti a voi si prende il sentiero diretto verso Codera, mentre se si va a destra si può fare il giro da San Giorgio, decisamente più lungo a quanto ci dissero. Ovviamente, da buoni ex-studenti, prendiamo il primo sentiero, puntando dritti verso la nostra destinazione. Dopo pochi minuti, si arriva ad un parcheggio, dove la strada asfaltata finisce - qui i fortunati automuniti possono riporre il mezzo. Bene - siamo all’imbocco del sentiero, il quale si trova sulla sinistra, di fianco a un cantiere (maggio 2013) e inizia con alcuni scalini. Il sentiero è segnato con i colori bianco + rosso.
Il sentiero
Il sentiero che porta su in Val Codera non è tecnicamente difficile, è solo abbastanza faticoso, specie nella prima parte. In compenso è praticamente impossibile perdersi, poiché è ben indicato e non ci sono alternative: quello è e quello rimane. Sin dall’inizio il cammino s’inoltra in un bosco pieno di castagni salendo a zig zag sul costone della montagna; talvolta gli alberi si aprono e allora, oltre a rendersi conto di quanto velocemente si sale, si gode di una bellissima vista sul lago Mezzola. Il sentiero è fatto a gradoni per tutta la prima parte, non presenta difficoltà, se non la fatica, specie se si hanno grossi zaini addosso come avevamo noialtri. L’unico pericolo è di scivolare in caso di pioggia (ovviamente i vostri amati eroi se ne beccheranno tanta ma tanta in discesa), per il resto andate tranquilli e prendete il tempo che vi serve. È una salita continua, senza soste - si affrontano i gradini di pietra uno alla volta, gradini messi e curati da generazioni di coraggiosi individui che così hanno reso accessibile la montagna. Se il sudore non vi avrà accecato, potrete notare tra l’altro che, praticamente all’imbocco del sentiero, ai lati ci sono dei pietroni che una volta formavano un muro: bene, trattasi dei resti del castello della Val Codera, di cui rimane ben poco, che bloccava l’accesso alla valle, un tempo strategica e contesa per tutta l’età moderna dai vari signori locali. Superati i resti e la successiva cappelletta, in località Sassei, procedete per il vostro cammino fino ad arrivare ad un tratto dove il sentiero si inerpica lungo una parete di granito, all’inizio del quale campeggia una simpatica scritta che dice: “Evitare soste inutili, pericolo caduta massi”. Non preoccupatevi, a noi non è caduto in testa nulla, tuttavia decidiamo di seguire il consiglio del cartello ed evitiamo di bighellonare sotto quelle pareti di roccia bianca con striature nere. In tutte le zone più esposte (da un lato avete la parete rocciosa e dall’altro il caro e buon vecchio nulla) ci sono comunque delle corde di protezione alle quali potersi aggrappare, occhio soltanto ad un paio che non sono proprio saldissime, perché i pali a cui sono attaccate tendono a ballare (probabilmente verranno sistemati a breve). Come al solito, in caso di pioggia state davvero attenti a non scivolare! La vista è magnifica. Stiamo lentamente girando il costone della montagna, entrando così in Val Codera. Un’informazione: come ci spiegheranno in seguito, la valle era abitata fino agli anni Sessanta da 700 abitanti, a Codera c’era addirittura una scuola elementare, mentre la lista dei caduti provenienti dalla zona in quel macello che fu la prima guerra mondiale è (troppo) numerosa. La maggior parte degli adulti lavorava come scalpellino. Tuttavia, dopo la fine anni Sessanta le cave hanno cominciato a chiudere e gli scalpellini a morire di silicosi: ciò ha causato il progressivo spopolamento della valle, che oggi conta davvero pochi abitanti fissi (mi pare poco più di una decina in tutto). A questo proposito: ad un certo punto del sentiero, mentre ci inerpichiamo lungo la parete di granito, incontriamo una piccola scavatrice, abbandonata in uno slargo, la quale venne portata qui diverse decine d’anni fa in elicottero smontata, quindi montata, usata e poi abbandonata al suo destino. Dopo questo tratto, si rientra nel bosco e il sentiero si fa decisamente meno tirato. Arriviamo così ad incontrare un piccolo gruppo di case, disabitato, di nome Avedè, dove c’è una fontana d’acqua alla quale ci dissetiamo. L’acqua è buona e fresca. Intanto che inghiottite per una volta qualcosa di diverso dalla birra, girate il culo e contemplate dall’alto il lago di Mezzola - dalla Val Codera, all’interno della quale state entrando, non lo vedrete più. Procediamo in mezzo al bosco e avvistiamo Codera, la nostra destinazione, che sembra vicinissima, ma non lo è. Il sentiero ci gioca infatti un ultimo simpatico scherzo: per arrivare al paese ci vogliono ancora tre quarti d’ora di sentiero in mezzo ad una vegetazione abbastanza fitta, durante i quali si affrontano diversi Sali e scendi (con l’ausilio delle immancabili scale scavate nella pietra) e delle parti coperte da un paio di gallerie sopra le quali scorrono rivoli d’acqua, che s’ingrosseranno decisamente al nostro ritorno a causa delle abbondanti piogge di quei giorni. Si giunge così all’ultimo strappetto, che da piccolo cimitero porta a Codera e al rifugio "La Locanda" in pochi minuti, attraverso una stradina.
Il ritorno
Noialtri il ritorno l’abbiamo fatto seguendo la strada dell’andata, quindi nulla di nuovo. Tuttavia è possibile prendere il sentiero da San Giorgio, cosa che non abbiamo fatto (e preferiamo non parlare di camminate che non abbiamo effettivamente affrontato).
La tempistica
Considerando che abbiamo preso il sentiero alle 11:11 precise e siamo arrivati alle 13:15, direi che ci vogliono un paio d’ore; di buon passo e senza zaini pesanti come i nostri (dovevamo comunque stare su qualche giorno) si può fare tranquillamente in un’ora e tre quarti, forse addirittura per i più allenati in un’ora e mezza. Il sentiero in sé globalmente non presenta particolari difficoltà; ancora, state soltanto attenti a non scivolare. In certi tratti si fa un po’ di fatica, ma nulla di che. Per il ritorno calcolate un’ora e mezza, anche se noi ce ne abbiamo messe due perché veniva giù un diluvio universale e il rischio di finire poco simpaticamente a culo in su era molto alto - ad una certa, c’era così tanta acqua che in discesa si era formato un piccolo torrente che ci veniva incontro. Inoltre, in certi tratti il sentiero era interrotto da piccoli ruscelli d’acqua - la Val Codera infatti è piena d’acqua e quando piove bisogna stare un po’ più attenti - quindi datevi un’occhiata al meteo prima di partire! Tuttavia, la fatica aggiuntiva viene premiata: se dovesse piovere, guardatevi intorno e notate le cascate spontanee che si formano lungo i pendii boscosi - sembra un po’ di stare in quello che io immagino il Borneo… Sandokan in versione Val Codera, non molto credibile, ma vabbè, è solo situazionismo post-adolescenziale.
Cose&Robe
Dato che la sezione del ritorno a ‘sto giro era particolarmente scarna, diamo due notazioni su Codera e dintorni. Ora, per prima cosa: Paolo e Flavio, due abitanti di Codera (il primo è gestore del rifugio "La Locanda"), ci raccontavano che questa era fino a pochi decenni fa una valle di contrabbandieri, poiché, proseguendo per il sentiero che dopo Codera continua a salire, si arriva addirittura ad un passo (mi pare del Monte Teggiolo se non sparo una cazzata, ma controllate) che, all’altezza di circa duemila metri, permette di passare direttamente in Svizzera tutto sommato abbastanza comodamente (“si hanno solo le ginocchia in gola”, come ci riferì Flavio). Noi diamo un’informazione, così, aggratis e ad minchiam, che non si sa mai visto i tempi che corrono. Per quanto riguarda il rifugio “La Locanda”: è sicuramente molto bello, al suo interno c’è il Museo Etnografico di Codera, con molti oggetti che contraddistinguevano in passato la vita quotidiana delle genti della Valle; la vista dalla sala dove si mangia è fantastica e ci permetteva di fare i pasti guardando la cima innevata del Manduì, cioè il Manduino (chissà se l’ho scritto giusto). Si dorme in camerate fatte in pietra e legno con letti a castello - il tutto decisamente bello. Si scrive ciò non per far pubblicità, semplicemente per darvi l’idea di cosa troverete arrivati a Codera, paese che merita inoltre una breve esplorazione. Il piatto locale è il taroz; al rifugio avrete probabilmente l’occasione di provarlo. Sempre a “La Locanda” vendono anche grappa fatta in casa: una bomba la grappa all’erba Iva - annusatela e sentirete i profumi della montagna, bevetela e starete meglio.

Sulla Val Codera e dintorni date un occhiata al sito dell’Associazione Amici Val Codera:


Immagini
A 'sto giro il "grafico" ha venduto l'anima al diavolo e blogspot gli ha permesso di mettere le foto in ordine corretto.

Salita verso l'imbocco del sentiero


Lago di Mezzola dall'alto

La simpatica parete di granito

Panoramica dal bosco alla parete di granito

La scavatrice

Verso Codera



Panoramica di Codera

Codera by night

Ritorno in Borneo style

Sentiero interrotto dall'acqua - a costo di essere pedanti: occhio a non scivolare!



martedì 30 luglio 2013

Cascate di Monticelli Brusati

Venerdì 19 luglio

Visto che a ‘sto giro i membri degli Escursionisti senza confini sono due studenti e un post-studente disoccupato e che, quindi, il grado di bollitura è particolarmente elevato, decidiamo di andarci a fare un giro poco impegnativo, in modo tale da potercela prendere con calma. Ci diamo il puntello alle 10.30 - lo sappiamo, i montagnini più duri e puri nonché ripigliati inorridiranno per l’abiezione che sta dietro a tale ora tarda - ma tant’è. Dopo una spesa veloce (pane, vino, insalata, prosciutto - ma cotto che sennò uno dei componenti si lamenta), posiamo i nostri amabili culi sull’automobile che ci porterà verso Monticelli Brusati, dando il via ad un viaggio dove le vittime principali dei nostri insulti saranno l’odiosissimo TomTom che ci farà perdere diverse volte e i camion che lavorano alla TEM, un’altra “Grande opera” che sta devastando il nostro territorio, già sufficientemente martoriato, in nome dell’ennesima presa per il culo che serve solo a coprire gli interessi dei soliti noti.
Dopo un’oretta di viaggio rigorosamente non in autostrada (ci rifiutiamo di pagare un sacco di soldi per percorrere una strada asfaltata e pure male), arriviamo a Monticelli Brusati, piccolo paese di 4.000 anime della Franciacorta, in provincia di Brescia, composto da alcune frazioni, una delle quali, Gaina (355 metri), è il punto di partenza per un paio di sentieri semplici e veloci che tuttavia sono in grado di regalare qualche emozione e una certa soddisfazione.
Ma andiamo con calma e per punti - dato che noialtri non siamo certo dei montagnini doc ma semplici escursionisti che vivono la montagna in un certo modo (vedi Chi siamo), quello che ci interessa è dare informazioni pratiche, lasciando descrizioni di flora, fauna e altre cose naturali a persone più preparate e competenti di noi. D’altronde, da una generazione cresciuta a videogiochi nella più cupa decadenza della civiltà occidentale, pretendevate forse qualcosa di diverso?! Dopo questa tirata imbarazzante, veniamo al sentiero.
Parcheggio
Noi abbiamo seguito le indicazioni per il sentiero delle cascate sin da quando abbiamo trovato il cartello per Monticelli Brusati, poco dopo essere usciti dalla superstrada (uscita Gussago), trovando così le indicazioni per il Parcheggio-1. Questo, davanti a un cimitero, ha numerosi posti, ma costringe a farsi la strada sino all’imbocco del sentiero (località Gaina): il cartello presso il parcheggio segna 40 minuti, tuttavia è una palese esagerazione, dato che noi ci abbiamo impiegato una ventina di minuti. Se volete risparmiarvi una strada asfaltata sotto il sole cocente (gli indigeni per di più sembrano trarre particolare godimento dal tentativo di mettervi sotto e di ignorarvi quando chiedete uno strappo) tra ville di gente che certo non ha problemi di cash, potete ignorare bellamente le indicazioni del Parcheggio-1, continuare a seguire le indicazione per il sentiero delle cascate e parcheggiare a Gaina (occhio che il parcheggio in “centro”, se di centro si può parlare, è riservato solo ai residenti).
Caratteristiche del Sentiero
Arriviamo a Gaina sotto il sole cocente di mezzogiorno (ebbene sì, pare che la bollitura non paghi). Dalla piccola piazzetta, a sinistra del capitello votivo si prende una piccola stradina che scende leggermente; le case dopo poche decine di metri scompaiono insieme all’asfalto, lasciando spazio ad un sentiero - in terra battuta circondato da viti - che ci porta, dopo pochi minuti di cammino, nel bosco, dove troviamo il cartello con le indicazione per i sentieri. Infatti, ciò che rende così interessante il sentiero delle cascate di Monticelli Brusati è la possibilità di scegliere il sentiero che più si adatta alla propria voglia e capacità, senza che tale scelta si riveli irrevocabile. Mi spiego: la palina dà le indicazioni per due sentieri - il sentiero A (quello facile) che si apre sulla destra, ottimo per famiglie, umani con cani o persone che semplicemente vogliono farsi una bella passeggiata nel bosco; e il sentiero B, il percorso cioè che si apre sulla sinistra e che è in discesa. Quest’ultimo presenta una ferrata tutto sommato semplice, adatta anche per chi è alle prime armi. Nel caso tuttavia che un tratto risulti particolarmente difficoltoso, si può sempre prendere il sentiero A per saltare il tratto in questione: infatti i due percorsi non solo iniziano e terminano insieme, ma s’incrociano anche continuamente.
Il cammino
Dopo una sosta rinfrescante con l’immancabile foto sotto la palina come insegna lo zio Menek, prendiamo il sentiero B, allegri e ridanciani come solo dei bolliti della nostra specie possono essere. Nel giro di pochi metri il sentiero scende e ci porta al torrente (segnavia: rosa+bianco): da questo momento si seguirà il torrente in un piccolo canyon immerso nel bosco, saltando da una roccia all’altra e cambiando riva quando è necessario. In questo frangente, l’unico pericolo è scivolare e finire col culo a mollo - noi siamo andati in una calda giornata di luglio, il torrente aveva tutto sommato poca acqua e quindi il pericolo di scivolare era senza dubbio inferiore rispetto a quando il torrente è in piena. Ci ripromettiamo comunque di tornare per goderci il sentiero con i colori dell’autunno, che da queste parti deve meritare. Intanto, si cammina all’ombra e fa fresco. Il sentiero A e il sentiero B s’incontrano continuamente, noi seguiamo il torrente- attraversarlo è sempre fattibile anche per i nostri biechi corpi contraddistinti non certo da grande agilità ma anzi bruciati dagli eccessi alcolici a cui regolarmente li sottoponiamo. Per via della nostra cultura postmoderna notiamo che saltare da un sasso all’altro ci ricorda i videogiochi degli anni Novanta. Dopo un po’ si arriva alla prima cascata, dove ci fermiamo a fare un po’ di foto imbarazzanti per Dio (anche se non c’è) e per l’umanità (che ci sta un po’ sul cazzo). A fianco della cascata c’è la prima scala in metallo, “perpendicolare al terreno” come fa notare uno dei temerari escursionisti senza confini - superarla non presenta alcuna difficoltà. Una volta superata, tuttavia, consigliamo di non lanciarvi subito oltre, ma di fermarvi un attimo, girarvi a sinistra e notare un piccolo calpestato che in pochi metri porta al ruscello che si sta per buttare nella cascata: a fianco del corso d’acqua noterete delle sorta di gradini di roccia naturali, sedetevi e godetevi l’acqua che si butta giù e riflettete sui massimi sistemi e sul significato della vita oppure, come noi, cercate di fare foto più epiche possibili, stando attenti a non scivolare. Qui infatti le rocce sono abbastanza scivolose - quindi vedete di non fare stronzate. Riprendiamo il cammino - si procede come prima, seguendo il torrente e saltando da una roccia all’altra e cambiando riva quando è necessario finché, dopo aver incrociato un tavolo da picnic in legno (qui c’è un altro incrocio con il sentiero A), s’incontra uno stretto canyon: per attraversarlo si utilizzano le catene poste sulla parete rocciosa della piccola gola: afferratele e, quando sono presenti perché necessario, utilizzate gli appositi pioli metallici. Dopo qualche passaggio di questo tipo, fra i quali dovrete cambiare anche lato della gola (tranquilli, quando è necessario farlo i pietroni del torrente lo consentono), si arriva ad un salto roccioso con una nuova piccola cascata. Ed ecco la parte più difficile di questa, nel complesso, facile ferrata: per superare il salto roccioso infatti bisogna utilizzare una catena che scende giù dalla parete rocciosa e arrampicarvi con il suo aiuto. Nei giorni precedenti aveva piovuto, quindi la roccia era abbastanza scivolosa - nel caso, uno dei nostri escursionisti senza confini ha utilizzato la catena stessa mettendola sotto il piede di appoggio per fare maggiore attrito. Superato il salto roccioso, si prosegue lungo il torrente, che regala alcuni scorci e alcuni giochi di cascate veramente belli, fino a tornare a incrociare il sentiero A, per poi riprendere il sentiero B un’ultima volta, il quale porta ad un ultima cascata, che supererete utilizzando un’altra scala con i pioli in metallo. Bene - fatevi forza: il sentiero B si ricollega con il sentiero A e nel giro di pochi minuti si arriva alla fine del percorso ufficiale, in uno spiazzo coperto dagli alberi dove c’è un tavolo in legno da picnic. Qui stappiamo con soddisfazione una bottiglia di Dolcetto d’Acqui e ci apprestiamo a consumare le provviste contenute nei nostri zaini.
Il ritorno
Ciò che contraddistingue questo sentiero è l’impossibilità di perdersi: i sentieri sono ben segnati (soprattutto il sentiero A che, come notava un intrepido escursionista senza confini, è segnato quasi ossessivamente) e, se avete qualche dubbio, seguite il torrente. Anche per il ritorno funziona così: prendiamo alternativamente il sentiero A e il sentiero B, così come ci gira, fino a giungere alla palina iniziale.
Tempistica
Tenendo conto che noialtri ce la siamo presa con mooolta calma, direi che l’andata ci ha preso un’ora e mezza e il ritorno circa quaranta minuti. Si tratta comunque di un percorso facile, divertente e suggestivo, che, senza essere a grandi altezze (il dislivello complessivo è di 200 metri e il punto più alto sono i 500 metri), regala degli scorci notevoli e dà una certa soddisfazione. Inoltre consente di avere un primo e poco impegnativo approccio con una ferrata. Insomma, è una buona soluzione per passare una giornata in mezzo alla natura senza fare troppi sbattimenti.

 Immagini
Se non sono in ordine è perché l'escursionista senza confini che si occupa della "grafica" ha rinunciato a capire come cazzo funzioni la modalità di inserimento immagini. Abbiate pietà per i suoi nervi.
 
Palina

Prima cascata - la bollitura cresce

Primo tratto del sentiero

Foto epica dall'alto della prima cascata

Prova agility al ritorno

Seconda cascata

Una delle due scalette - l'altra è uguale

Primo pezzo con catene della ferrata

Seconda cascata

Mappa del sentiero

Ritorno fuori dal bosco verso Gaina




Riflessione innanzi al pezzo più cazzuto della ferrata